Christian Pezzin – Chief Digital Officer, Sapio Group

EXECUTIVE INTERVIEWS
Christian Pezzin
Chief Digital Officer
Sapio Group
Executive Interviews è la rubrica di ISTUD dedicata alle storie e ai percorsi professionali dei manager e professionisti d’azienda che hanno partecipato all’Executive Master in Leadership and Business Transformation. Questo nuovo appuntamento è dedicato a Christian Pezzin, manager italiano con un passato in Google, e oggi Chief Digital Officer di Gruppo Sapio.
Buongiorno Christian e benvenuto al nostro format Executive Interviews. Cominciamo con le presentazioni: ci vuoi raccontare il tuo percorso di carriera a oggi?
Certamente, partirei da un motto che ho provato ad applicare sempre nella vita: “cambiare, quando serve, fa bene”. Nel mio percorso professionale ho fatto esperienze molto diversificate: l’online spinto, il B2B, il B2C, il B2B2C.
Fin da piccolo ho avuto una forte passione per i computer, così anche seguendo i miei interessi, ho frequentato il liceo scientifico a indirizzo informatico e in quegli anni ho partecipato a un Exchange Programme nel Missouri – vero tipping point nella mia crescita -: un modo per aprirsi alla vita, non solo imparando una nuova lingua, ma una svolta per essere più maturo e consapevole.
Dopo il liceo, Ingegneria informatica a Modena e Progetto Socrates in Repubblica Ceca. Conseguita la laurea mi arriva la cartolina del militare: servizio informatico al comune di Cento. Sono piaciuto all’Amministrazione che è arrivata da me con una proposta di candidatura.
Da lì, a 25 anni e correndo per una lista civica, sono diventato vice sindaco in un comune di 35.000 abitanti.
Questa esperienza mi ha permesso di capire come funziona la macchina politica, anche della pubblica amministrazione locale, ma nel cuore son sempre stato e resto un ingegnere informatico.
Conclusa l’esperienza a Cento, una notte d’estate trovo online una job offer da parte di Google, e ci provo. Mi hanno selezionato dopo 6 colloqui telefonici molto duri.
Era il 2005, mi sono recato in agenzia viaggi e ho acquistato un biglietto di sola andata per Dublino. Una avventura di quasi 5 anni, dove mi piace dire con un filo di ironia che “ho formattato il cervello”.
In Google facevamo smart working già 15 anni fa, ti bastava un pc e una linea internet per portare avanti il lavoro ed essere collegato con il mondo. Seguivo la business line dei prodotti gratuiti per il mercato italiano. Il lavoro era a metà strada tra Mountain View e Milano, esperienza unica.
Poi è successo che ho seguito il cuore e mia moglie e sono rientrato in Italia.
Trasferimento in Barilla, dove ho iniziato un viaggio nuovo nel mondo della pasta e biscotti occupandomi della parte digitale del business. Seguivamo tutti i siti web del Gruppo portando avanti progetti trasversali di innovazione.
Dopo Barilla, una nuova sfida in OCME (macchine per il packaging) ricoprendo per la prima volta la posizione di Chief Digital Officer, un ruolo ancora abbastanza nuovo in Italia nel 2014. Ho costruito la posizione professionale intorno a me, ero la persona che doveva favorire e seguire l’adozione del digitale in azienda a tutti i livelli. Fino ad arrivare all’attuale lavoro in Sapio.
Ci racconti qualcosa in più sul tuo attuale ruolo di Chief Digital Officer?
Partendo da quello che ho visto e sperimentato fino ad oggi, penso che fare il Chief Digital Officer sia una sfida vera per il professionista, e una scelta strategica per le organizzazioni.
Nel mio lavoro devo andare “dentro” ai processi, portare novità e accompagnare per mano le persone verso un nuovo viaggio. Per fare questo devi essere resistente, non devi mollare, devi sforzarti a diffondere il digitale – con le sue mille opportunità – in maniera quasi pervasiva in azienda.
Una delle maggiori sfide è quella di far capire cosa il digitale possa dare a ciascuno in termini di miglioramento nel day by day lavorativo. Fare questo non è facile, bisogna infatti portare fuori dalla comfort zone le persone, ma solo così riesci a generare il cambiamento.
Io sono sempre partito da un mio modo di interpretare il lavoro, gli inglesi lo chiamano “leading by example”: prima fai le cose, porti a casa i risultati, e poi fai vedere e capire agli altri che l’innovazione e i nuovi progetti sono possibili.
Quando i colleghi vengono a chiedere un parere o una consulenza interna, provo a dire sempre di sì laddove questo sia possibile, perché preferisco ascoltare e poi provare a portare soluzioni.
Sapio ha avuto un forte coinvolgimento nella emergenza COVID. Come hai vissuto questi momenti a livello professionale e personale?
Sapio è divisa in due macro settori: industria e sanità. La prima area ha subito un rallentamento del business fisiologico rispetto alla situazione di crisi sanitaria che si è generata da fine febbraio in poi; la seconda un carico e un aumento delle attività molto significativo.
Quello che posso dire è che abbiamo aiutato il Paese a gestire l’emergenza, tutti avevano bisogno di respirare e siamo riusciti a fornire l’ossigeno. L’azienda ha reagito bene e in tempi brevissimi, abbiamo dato il nostro contributo.
Sul piano personale ho provato a trovare del positivo e a costruire cose nuove anche in questa fase, mettendo in campo le mie competenze per lo smart working. Dai primi giorni dello scoppio della pandemia abbiamo fatto subito corsi di formazione online, creato video tutorial per chi doveva usare i nostri tool, webinar, sessioni one to one. E i risultati si sono visti: i report di utilizzo della nostra piattaforma sono schizzati alle stelle e dico con soddisfazione che ci sia stato apprezzamento diffuso verso il nostro lavoro.
A proposito di smart working, puoi dirci una battuta veloce su questo tema, oggi molto dibattuto?
In questi mesi si è avuta una accelerazione fortissima verso un nuovo modo di lavorare che va ancora pienamente metabolizzato e sfruttato, ma che ha in sé grandi potenzialità.
Se uno vuole lavorare in maniera diversa oggi le tecnologie lo consentono, è chiaro che bisogna approntare in tutti un cambio di mindset imparando a lavorare in un luogo diverso dall’ufficio e collaborare in modo nuovo. Va fatta educazione su questo, sul lavorare e collaborare diversamente.
Solo per fare un esempio, a molti è capitato in questo periodo di saltare da una piattaforma all’altra, surfare tra messaggi in multicanalità, dovere garantire risposte simultanee su una molteplicità di ambienti digitali e tradizionali, tra chat, sistemi di video conference, e-mail, telefono, app. Questo rischia di creare burnout o la cosiddetta “Zoom fatigue”. Le persone non sono pronte.
Il nostro ruolo e la nostra responsabilità come promotori e facilitatori della trasformazione digitale, è quello di accompagnare tutti in questa nuova fase.
Un’ultima domanda più vicina al nostro mondo. Della partecipazione all’Executive Master, cosa ricordi e cosa ti ha lasciato questa esperienza?
La prima cosa che mi viene in mente è il clima fortemente positivo e collaborativo creato da subito con tutti i compagni di corso: profili diversi, con esperienze professionali e ruoli diversificati, ma come dico io “con la stessa testa”. È bello vedere come anche a distanza di tempo, ci scriviamo ancora tutti i giorni.
Durante il Master si è creata quella “colla” e quella chimica rara da vedere in un gruppo, una energia nascosta che nessuno aveva visto in brochure ma che ha potuto poi toccare con mano in presenza in aula. È venuta fuori in ogni momento. Abbiamo fatto squadra e creato un network che varrà per la vita.
Anche i contenuti del percorso sono stati molto interessanti, così come il collegamento con i docenti della Faculty. E infine la ricaduta operativa nel day by day lavorativo: alcuni strumenti appresi li si riporta da subito in azienda e diventano utili per una rinnovata impostazione del proprio lavoro.
Grazie Christian e in bocca al lupo per tutto!
Grazie a voi e speriamo di poterci incontrare presto.